Lei è bionda, occhi azzurri, la sessantina portata bene ma evidente nelle rughe. E qualche chilo di troppo ai fianchi, vene varicose bene in vista sulle cosce nude. Potrebbe essere americana, inglese o tedesca. Si avvicina all’ingresso del Club 1830, sul lungomare dell’Avana. Sono Ie dieci di sera, sta per cominciare la serata di musica e danza salsa.
Un gruppo di giovani cubani e in attesa. Ventenni, neri, magri e muscolosi. Qualcuno è pure molto bello, tutti hanno un fisico perfetto. La donna si avvicina, Ii studia con calma, poi sceglie la preda.
Da quel momento in poi, lui è al suo servizio. Avvinghiati in pedana, lei lo palpeggia vistosamente.
Lui sembra un maestro di danza, si esibisce in volteggi perfetti, piroette,
acrobazie eleganti, con un senso del ritmo travolgente. Lei sculetta un po’ troppo, ma se la cava. Deve essere reduce da anni di scuola di ballo a casa sua. Forse è ancheuna habituè di quest’isola. Di certo sa dove trovare un gigolo, si muove tranquilla, sicura di se, autoritaria.
Come lei ne vedo altre quattro o cinque, nella stessa serata. Donne di mezz’età per usare un eufemismo: l’età della pensione.Vengono a Cuba a fare turismo sessuale. GIi uomini che ingaggiano hanno 20, 30, 40 anni meno di loro. Alcuni sono ragazzini, passano la notte a procurare piaceri di varia natura a donne che potrebbero essere le loro madri o nonne. Prima si balla molto, si bevono molti mojito e daiquiri, l’orchestrina del Club 1830 va avanti a oltranza fino alle tre di notte.
Poi, quando Ie coppie sono grondanti di sudore, la donna deciderà che fare di lui per le ore che restano fino all’alba. Io sono un po’ un pesce fuor d’acqua visto che al Club 1830 mi presento con moglie e figli. Andrò via prima che le signore occidentali passino alle vie di fatto. Mia figlia Costanza è orripilata. Da femminista qual è, potrebbe compiacersi che qui sia stata raggiunta la parità anche nel turismo sessuale. Preferisce vedere l’altro aspetto: “Colonialiste schifose”, è il suo commento lapidario.
Avendo vissuto tanti anni in Asia, non mi stupisco di fronte al turismo sessual-coloniale. Cominciai a vederlo in Indonesia e Thailandia quarant’anni fa, lo ritrovai in Cina, Vietnam e Cambogia. È normale, nel senso che è frequente, entrare in hotel a cinque stelle e vedere tante coppiette: lui vecchio bianco, lei giovanissima bellezza orientale.
Nella città vecchia di Pechino dove abitavo, tra i vicoli attorno al laghetto imperiale Houhai, nei bar le ragazze sole aspettano gli stranieri. Se i potenziali clienti sono americani li chiamano anche “carne da Green Card”. Nel senso che a volte ci scappa un matrimonio- effimero – grazie al quale la ragazza si procura l’ambito permesso di soggiomo, per rifarsi una vita negli Stati Uniti.
Ma da nessun’altra parte al mondo, avevo visto tante donne predatrici come all’Avana. Non dico che il turismo sessuale sia davvero paritario: sono più numerosi i maschi occidentali a caccia di cubane. Però il fenomeno al femminile è massiccio, vistoso, inequivocabile. E un po’ mette a disagio, lo confesso. Forza dei pregiudizi, o dell’abitudine? Sta di fatto che m’impressiona vedere tante sessantenni occidentali scatenate accalappiare ragazzini cubani sui quaIi strofinarsi tutta la sera, in pubbIico, senza pudori.