Il rischio implicito dei Matrimoni Misti
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L’amore ai tempi della globalizzazione
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Le italiane guardano sempre più spesso oltre confine quando si tratta d’amore. Le differenze con “lui”? Inevitabili ma non insormontabili. Tre ragazze raccontano il fascino di un uomo dal passaporto estero di Raffaella Borea
SENTIMENTI
COPPIA FAMIGLIA STORIE STILI DI VITA AMORE PSICOLOGIA
Quando nel 2006 Seal chiese ad Heidi (Klum) di diventare la signora Olusegun Olumide Adeola Samuel, la trama di “Indovina chi viene a cena” trovò la sua migliore conclusione. A 30 anni esatti dal film di Stanley Kramer, i Sidney Poitier di tutto il mondo non devono più faticare per riuscire a sposarsi perché alle donne, a stelle e strisce come tricolori, lo straniero piace. Quando poi è pure bello ed economicamente indipendente ancora di più. Melissa Satta, compagna del calciatore Kevin Prince Boateng docet, ma anche la ragazza della porta accanto è pronta a dire la sua. Il numero di italiane che affiancano al bianco-rosso-verde i colori di altre bandiere non si conta, nonostante l’altare rimanga una chimera.

Naturale deterrente allo scambio di anelli è la legge voluta nel 2009 dall’allora Ministro dell’interno Roberto Maroni che impone allo straniero in odor di matrimonio in Italia l’obbligo di esibire, oltre al tradizionale nulla osta (o certificato di capacità matrimoniale), anche “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. Conseguenza: per dare scacco al proliferare delle unioni di comodo, anche quelle votate al sentimento si sono arenate a Milano come a Palermo. In (ovvia) controtendenza rispetto all’America di Obama dove i matrimoni misti proliferano (+15%), le celebrazioni tra donne italiane e uomini stranieri segnano il passo (-23,9%), mentre invece le convivenze si moltiplicano. Dividere il letto con un francese o un senegalese, cucinare per un rumeno o imparare il norvegese non spaventa le italiane che, senza ripensamenti, in uno schiocco hanno chiuso in un cassetto il fascino latino dei conterranei. Buttare la chiave non è stato troppo complicato: le differenze culturali e le difficoltà (iniziali) di adattamento reciproco sono superabili, tanto che l’uomo straniero, quando non stravince, se la gioca ad armi pari con il passaporto italiano.

Le storie di Alberta, Anna Maria e Federica lo confermano. Delle eccezioni? L’addio tra Seal e Heidi a 6 anni dal giorno del matrimonio farebbe pensare di sì. I dati raccolti da Istat anche: negli ultimi 7 anni separazioni e divorzi tra le coppie miste sono aumentati di oltre il 70% con effetti deflagranti quando ci sono figli di mezzo. «Le separazioni giudiziarie nelle coppie composte da partner di nazionalità diverse e con figli sono moltissime» spiega Maria Falchetti, avvocato, «e estremamente complicate soprattutto quando si è in presenza di culture o legislazioni non omogenee con quella italiana». Per credo religioso o per legge, la gestione del rapporto arrivato al capolinea può dunque diventare un inferno con buona pace della prole, vittima designata di querelle senza fine. «Anche se non hanno una valenza efficace in Italia» spiegano dal Centro per la Riforma del diritto di Famiglia, «bisognerebbe stipulare patti prematrimoniali utili per definire come dovrebbero comportarsi i coniugi in caso di separazione». Un suggerimento prezioso – e una dichiarazione scaramantica – anche per le nostre tre ragazze che hanno scelto di declinare ti amo in idiomi diversi da quello domestico.

Coppia: quando “lui” è straniero
Maschilismo azzerato, indipendenza e sense of humor: il mio amore sud africano
Alberta Galli, 38 anni, responsabile marketing Italia di un gruppo multinazionale francese operante nel turismo, sposata da 8 anni con Mark, 37 anni, graphic designer di origine sudafricana.

Nel 2002, durante un anno sabbatico nel sud est asiatico, ho trascorso un periodo in Thailandia con un gruppo di volontari internazionali in maggior parte di madre lingua inglese, tra cui un ragazzo sud africano, il cui fratello gemello – Mark – mi ha cambiato la vita. Dopo 2 anni abbiamo deciso di sposarci e da 10 viviamo in Italia. La sua apertura di vedute, la reale assenza di maschilismo e il sense of humor raffinato, che ho trovato davvero solo negli uomini stranieri, mi hanno fatto capitolare. La convivenza mi ha portato a confrontarmi con abitudini spesso diverse dalle mie, ma non inconciliabili: Mark, ad esempio, tiene fede all’uso sudafricano di mangiare seduto sul divano e portarlo a tavola non è semplice. Così come il chiacchierare è un’azione a tempo: per lui ogni giorno ha un limite definito di ore da dedicare alla conversazione, il che fa a pugni con la mia italica propensione alla parola. In compenso ce la giochiamo alla pari in quanto a indipendenza: il suo approccio è “anti mammone” essendo abituato a gestirsi e a risolvere ogni problematica in solitaria. Persino quando ha la febbre preferisce starsene da solo! Ma soprattutto Mark mi ha insegnato un approccio alla coppia realmente “duale”: io per lui sono la “soul mate”, l’anima gemella con cui condividere esperienze e costruire progetti, in modo molto aperto e alla pari. La sindrome italiana di “moglie-mamma-amica” rimane sullo zerbino di casa nostra, uno spazio dove mio marito esprime pienamente se stesso e dove la nostra coppia trascorre tempo qualitativo, anche quando si tratta di stirare. E lui lo fa benissimo….

Divisione dei compiti e facilità di adattamento: Tiako i Madagasikara (ti amo Madagascar)
Anna Maria T., 31 anni, professionista nella comunicazione, convive da 3 anni con Andry, malgascio, 35 anni, tecnico in una ditta metalmeccanica.

La classica serata tra amici mi ha fatto conoscere Andry: ci è bastato guardarci e ballare per far scattare la scintilla. Scoprire poi che il destino ci aveva fatto “sfiorare” molte volte, ma senza mai farci incontrare, ha reso ancora più inevitabile il nostro rapporto. Dopo 3 anni abbiamo deciso di convivere, un passo che mi ha permesso di mettere in discussione molte delle mie convinzioni. A partire dalla casa: ho imparato da lui che il nostro appartamento non deve essere un ambiente perfetto ma pieno di conforto, dove sentirsi accolti e protetti. Ecco perché prendersene cura insieme è importante: aiutarmi è la regola e dividere i compiti una legge. Storicamente il Madagascar era una società matriarcale, supportare un donna nella gestione del quotidiano fa parte del DNA e della cultura del mio compagno. Cultura che, avendo lui vissuto in diverse parti del mondo, è davvero globale: la sua apertura mentale e la facilità di adattamento sono una lezione costante anche per me. Abituarmi a lui non è stato per nulla complicato: prendere le misure reciproche quando si dividono gli spazi e la vita non ha differenza di bandiera, le difficoltà sono le stesse che probabilmente avrei avuto con il vicino di casa italiano. Il rapporto con Andry però mi offre una possibilità in più per crescere e mettermi in discussione, rivedere le mie certezze o per affermarle con più forza. Un confronto con chi è culturalmente diverso ha il pregio di aprire le prospettive e di crearti opportunità per considerare anche altri punti di vista.

Coppia: quando “lui” è straniero
Solido, votato alla famiglia e impegnato: j’aime l’homme français (nonostante la sua cucina)
Federica M., 39 anni, impiegata in Google, convive da 11 anni con Fabrice, francese, professore in diverse università, consulente di business innovation, attivista green ma soprattutto papà.

2001, Heineken Jammin Festival: io e Fabrice, impegnati a Imola per lavoro, abbiamo condiviso il dietro le quinte. Il suo italiano stentato e l’accento francese mi hanno divertita, convincendomi ad accettare un appuntamento: gli è bastato prendere il mio calice di rosso tra le mani per portarlo alla giusta temperatura (sarà perché è francese?) per farmi traballare. Da 11 anni queste sue piccole attenzioni ancora mi avvolgono e mi sorreggono. So di potermi fidare completamente di lui, sempre pronto a mettersi in gioco. Spirito libero, estremamente indipendente – aver vissuto e lavorato all’estero sin da giovane aiuta – quando è nata la nostra prima figlia ha lasciato il suo lavoro per dedicarsi alla famiglia, costruendosi un modello di vita flessibile e indipendente per trascorrere più tempo con noi. Molto legato alle pareti domestiche considera la casa un nido: il suo sogno è costruirne una da zero disegnata interamente da lui per la famiglia. Famiglia che è il suo centro, proprio come la cucina. E sono proprio le sue abitudini culinarie che cozzano con la mia cultura: per Fabrice l’insalata si mangia prima del pasto e gli spaghetti si buttano anche se l’acqua non bolle! Mi sono dovuta adeguare anche ai suoi standard estetici, ma non mi è costato fatica: la casa non deve essere perfetta ma mai possono mancare un fiore o una candela che la rendono avvolgente; i pasti vanno preparati con passione, serviti con la cura della domenica e consumati a televisione rigorosamente spenta. Questo forte coinvolgimento nella gestione della vita domestica comporta qualche compromesso, come accettare che le scarpe con la zeppa di corda siano sbattute in lavatrice “perché un po’ sporche” e la lavastoviglie sia caricata con i bicchieri all’insù. Ben poca cosa, se confrontata alla mia esperienza con gli italiani di cui non mi manca proprio nulla: il tempo speso spalmati sul divano guardando il calcio o l’abitudine di farsi servire o dare tutto per scontato non appartengono a Fabrice, per cui io sono la moglie e non la mamma. Vive la France!
(16 ottobre 2012)

fonts La Repubblica

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