I nipoti dei nostri figli parleranno due lingue senza doverle studiare, si districheranno con scioltezza tra le sure del Corano e i libri dei Vangeli, trascorreranno un Natale al freddo e quello dopo al caldo, mangeranno d’abitudine salato a colazione e, per strada, non osserveranno più gli incroci interrazziali con occhi da pesci d’acquario perché loro stessi avranno radici frastagliate e profondissime. Saranno, infatti, i figli dei figli di un matrimonio misto. L’Italia che si trasforma sotto la spinta propulsiva dei flussi migratori cambia il colore della sua pelle, la foggia dei suoi abiti, il sistema di valori in cui credere, le religioni da professare, il modo di mangiare e persino di innamorarsi. E in questo magma sociale incandescente e in continuo movimento, le coppie miste (erano appena 58 mila nel 1991, superavano già le 200 mila unità nel 2005, ora crescono al ritmo di oltre 6 mila all’anno) sono fondamentali nel processo di trasformazione interetnica e interculturale del nostro Paese. Sebbene certi matrimoni finalizzati all’acquisto della cittadinanza siano di comodo e alimentino un vero e proprio mercato, l’Italia del futuro è qui e oggi, leggibile in filigrana nella situazione attuale: un matrimonio su sette coinvolge ormai un cittadino straniero (ma solo il 20 per cento ha come protagoniste le donne italiane rispetto agli uomini), senza considerare le coppie di fatto, di difficile quantificazione.
Più che quadruplicati
I numeri che ci interessano sono ancora lontani da quelli di nazioni di radicata tradizione migratoria come Stati Uniti e Francia, tuttavia anche nel nostro Paese le nuove forme di famiglia, che ben poco hanno a che vedere con quella tradizionale, si integrano nel tessuto sociale anticipando la futura società multietnica. Se all’inizio degli Anni 90 la quota dei matrimoni con almeno uno straniero era il 3,2% delle unioni celebrate in Italia, nel 2005 la percentuale è schizzata al 14,3%. I matrimoni misti, dunque, sono più che quadruplicati. «Una volta erano i grandi viaggiatori o gli intellettuali a concedersi unioni miste — spiega Mara Tognetti Bordogna, professoressa di sociologia all’Università Bicocca di Milano e autrice di libri sul tema —. Oggi, con le grandi migrazioni dall’Est, dall’Africa e dall’Asia, sono alla portata di tutti». Le province di confine tendono ad avere i tassi più elevati: Imperia (15,4%), Trieste (14,9%) e Bolzano (13,6%) si piazzano tra le prime. Tra le grandi città a distinguersi è Bologna (12,2%), seguita da Milano (11%), Firenze (10,8%) e Genova (10,7%), mentre il Sud sembra refrattario al fenomeno: in Puglia, fanalino di coda, i matrimoni misti sono appena il 2,7%.
Desiderio di libertà
Qual è la motivazione profonda di un’unione con uno straniero o una straniera? Perché si sceglie di entrare in relazione con il «diverso da sé»? «Per una ricerca di maggior apertura e libertà, di novità e di confronto. Si tratta di una forte sfida alle nostre regole culturali, familiari e alla legislazione — risponde la professoressa Tognetti — perché il matrimonio misto trasforma le istituzioni, rende normale lo scambio tra culture, dà maggiori chance alla società: i figli che nascono conoscono due mondi, più lingue, più religioni. La società si piega e si trasforma, ma positivamente». Osservando la composizione dei matrimoni misti, nella maggior parte dei casi (59,1%) si tratta di italiani che sposano straniere, spesso dell’Europa centro-orientale. E nella metà dei casi l’uomo ha almeno dieci anni in più della compagna, percentuale che crolla (15%) quando sono le italiane (i cui gusti si orientano nettamente verso persone appartenenti alle comunità africane, marocchine o tunisine) a unirsi a uno straniero.
A rischio rottura
Quell’operoso laboratorio culturale chiamato coppia mista, però, per lo scontro tra identità cui dà spesso origine è anche un vulcano perennemente sull’orlo dell’eruzione. «Si discute e si litiga su come spendere i soldi, su come risparmiare, sui regali al partner e ai familiari, sulle vacanze, sull’educazione dei figli — continua la professoressa Tognetti —. Non è la religione, che pure incide, il principale elemento di rottura. È la quotidianità che porta ai grandi scontri e nasce dalla difficoltà di riposizionarsi continuamente nei ruoli di una famiglia atipica. Poi ci sono le diversità legate alla differenza di età e di livello d’istruzione. Ma il vero limite delle unioni miste è il fatto di essere ancora isolate dalla nostra società ».
Non a caso, i dati Istat e Eurispes dimostrano che i matrimoni misti hanno maggiori probabilità di andare in crisi rispetto a quelli tradizionali. Anche quando si tratti di seconde unioni: nel 36% dei casi se lo sposo è italiano e la sposa straniera, nel 19% se la sposa è italiana e lo sposo straniero. Molti, infatti, considerano l’unione mista un matrimonio di riserva, da prendere in considerazione solo dopo il fallimento della forma-famiglia «normale». Il valore percentuale dei divorzi misti e delle separazioni miste si aggira intorno all’80%, con tendenza nettamente più elevata al divorzio: una coppia interraziale su tre, in pratica, si spezza e il tasso di divorzio è circa il doppio di quello italiano. Un dato che sembra suggerire, in base al Rapporto Italia Eurispes 2007, il sospetto che molte coppie non siano all’altezza dell’altissima sfida offerta dal rapporto interculturale.
I matrimoni misti-misti
Se il futuro è già qui, ed è oggi, quale Italia dobbiamo aspettarci negli anni a venire? Un mercato matrimoniale molto fluido e aperto, innanzitutto, nel quale non ci si interrogherà più sul numero delle coppie miste ma, piuttosto, sulle molteplici forme-famiglia a nostra disposizione. Una Repubblica fondata sul lavoro e, forse, sui matrimoni misti-misti, cioè tra individui migranti appartenenti a due Paesi diversi. Italiani d’adozione ma non d’origine. O, per meglio dire, italiani. E basta.