David è un giovane ebreo israeliano in servizio nell’IDF, Fatima, una bella ragazza musulmana palestinese. Un giorno, per caso, si incontrano e si innamorano. Ma il loro non può che essere un amore impossibile, avversato dalle stesse famiglie, e destinato, riecheggiando le vicende di Giulietta e Romeo, a concludersi in maniera drammatica.
David e Fatima sono i personaggi di un film, prodotto dagli Stati Uniti nel 2008 allo scopo di favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Ma al di là di una rappresentazione un po’ melodrammatica, i due giovani non sono del tutto un’invenzione degli autori. Nonostante le enormi difficoltà esistenti sia a livello fisico (limitazione al movimento, barriere, muri e confini) sia a livello mentale (consuetudini, pregiudizi, tradizioni), in quell’area geografica che, in maniera irregolare e controversa, “contiene” due popoli così diversi tra loro da sembrare simili, di storie di amore come quella, immaginata, di Fatima e David o di amicizia ce ne sono. E resistono – anche sul confine tra Gaza e Israele – ai razzi, alle bombe, agli attentati terroristici e alle operazioni militari di questi giorni e degli ultimi anni.
Keidar e Mehanna È il caso, riportato dal Washington Post, di due amiche: Roni Keidar e Maha Mehanna. La prima, ebrea di 70 anni, si professa orgogliosa sionista e vive da più di 30 anni a poco meno di 800 metri di distanza dal confine con la Striscia. La seconda, 43 anni, è palestinese e vive nell’area di Gaza City. Keidar e Mehanna si sono conosciute tre anni fa, in uno dei pochissimi spostamenti concessi a quest’ultima per recarsi in Israele e rifornirsi di medicinali per la rara malattia immunitaria del nipote. Keidar, in qualità di membro della Organizzazione Non Governativa “Other Voice” che promuove il dialogo Israelo-Palestinese e si oppone al blocco nei confronti di Gaza, faceva parte della “scorta” civile che ne garantiva i movimenti. Due donne apparentemente diverse ma unite dalle stesse preoccupazioni familiari, dalle stesse vicende quotidiane, seppure in contesti caratterizzati da differenti condizioni e opportunità. Da quella “passeggiata” insieme è nata un’amicizia vera, fatta di telefonate e di messaggi (le nuove tecnologie hanno indubbiamente reso più semplice il “superamento” delle barriere imposte dalla politica e dalla paura), anche a sirene accese (dal lato di Israele) ed esplosioni ripetute (dal lato palestinese). “Per favore fammi sapere se sei al sicuro. Ti abbraccio” ha scritto Keidar a Mehanna, nei giorni scorsi, mentre un drone israeliano sorvolava la sua casa. “Prego e piango per la maggior parte del tempo – le ha risposto l’amica da Gaza – non vedo fine a questa follia. Per favore abbi cura di te e resta al sicuro”.
Imad e Dahlia E dura da quasi 30 anni l’amore tra Imad Hamdan, palestinese proveniente da una famiglia di rifugiati a Gaza, e Dalia, ebrea israeliana che accettò la proposta di matrimonio del marito subito dopo aver finito il servizio militare nell’IDF. Erano gli anni Ottanta e le possibilità di muoversi tra Gaza e Israele erano molto diverse. Imad lavorava nei cantieri di Tel Aviv e Dalia non nutriva particolari simpatie per gli arabi, ma come in una favola l’amore ha superato ogni difficoltà comprese quelle, inevitabili, poste dalla famiglia di lei. Per un periodo i due hanno vissuto in Israele e avuto tre figli, ma poco prima della seconda Intifada, Dalia ha scelto di trasferirsi a Gaza per essere aiutata nella cura della famiglia dalla madre di Imad. A Gaza è nato il loro figlio più giovane, Rami, e negli anni Novanta Dalia si è convertita all’Islam. Nonostante la chiusura dei confini, i ripetuti scontri, il lancio di razzi e, soprattutto, l’operazione “Piombo Fuso”, tra il 2008 e il 2009, ancora nel 2010 Imad e Dalia vivevano a Gaza e, viste le restrizioni ai movimenti verso l’estero imposti agli abitanti della Striscia, è probabile che siano ancora lì con i loro quattro figli.
David e Ibrahim La storia dei due 29enni, uno israeliano e l’altro palestinese, conosciutisi in un sito di appuntamenti ha fatto il giro del web appena qualche mese fa, grazie anche alla “sponsorizzazione” non casuale della Open Society Foundation di George Soros. David e Ibrahim, due nomi di fantasia serviti a proteggere la loro incolumità nel corso di alcune interviste rilasciate alla Public Radio International PRI, hanno dovuto affrontare più pregiudizi di qualunque altra coppia al mondo e, a differenza delle altre relazioni di amore e di amicizia, hanno finito con l’arrendersi. Uno ebreo e l’altro musulmano, uno abitante a Gerusalemme l’altro nella West Bank, separati da un muro e , in aggiunta a tutto ciò, appartenenti allo stesso sesso. Eppure la loro, breve, storia di amore ha insegnato qualcosa a entrambi. La possibilità che, nonostante i muri e i pregiudizi, ci sia ancora una speranza, uno spiraglio per cambiare le cose di fronte a tante, troppe differenze.
David e Fatima, Keidar e Mehanna, Imad e Dahlia, David e Ibrahim. Al di là del confine tra realtà e finizione, tra vero e verosimile sono soprattutto dei simboli. Simboli che dimostrano che, anche se cresciuti circondati da odio e rancore o sotto le bombe e le minacce di attentati e rapimenti, le persone sono più simili di quanto vogliano far credere. Così diversi da essere uguali.