Marocchino condannato a 20 mesi. «Mi ha usata solo per la cittadinanza»
Reggio Emilia, 24 aprile 2014 – UN ANNO e otto mesi di reclusione (che non farà, perché la pena è sospesa), tremila euro di risarcimento e la revoca del divieto di avvicinarsi all’ex moglie e alla figlia.
Questa la condanna inflitta ieri al marocchino di 36 anni accusato di aver preso a cinghiate la moglie italiana, pur di convincerla a convertirsi alla religione islamica.
Erano nella stessa aula, ieri mattina. Lui da una parte, che continuava a scuotere la testa. Lei, 32 anni, sta di fianco al suo avvocato di parte civile, intenta a cercare di non incrociare mai il suo sguardo.
Come giudica la sentenza?
«Non sono tranquilla riguardo la revoca della misura, conosco l’elemento — risponde la vittima davanti al tribunale —. Ho una bimba da proteggere. Non mi fido… So che potrei trovarmelo in giro. Per questo ora chiederò al mio avvocato (Silvia Angelicchio, ndr) di inoltrare al giudice una nuova richiesta per il divieto di avvicinamento. La stessa che ha avuto fino a oggi».
Ci racconti il suo calvario.
«All’inizio, quando l’ho conosciuto, era un angelo; molto premuroso, avvolgente. Ma si è dimostrato un lupo travestito da agnello. Due mesi dopo il matrimonio ha iniziato a cercare di convincermi a convertirmi all’Islam».
In che modo?
«Cercava di far leva sul fatto che io sono una donna. ‘Le italiane sono sporche e vanno purificate’, mi diceva; ‘altrimenti ti aspetta l’inferno eterno’. Continuava a ripetermi: ‘Mi sei servita e basta, lo sai. Ti ho sempre usato e ho sempre approfittato di te’. Si rende conto? Per la cittadinanza. Quando eravamo fidanzati non era così. Altrimenti non l’avrei mai sposato».
In che cosa ha modificato il suo stile di vita?
«Mi ha addirittura fatto cambiare lavoro. Non potevo fare l’estetista perché ero troppo a contatto con i corpi e con gli uomini. Oggi faccio la commessa. Non potevo salutare i miei amici per strada. Ho chiuso diverse conoscenze: tutte quelle maschili; altre anche con alcune ragazze, diceva che erano troppo esuberanti e non voleva che le frequentassi».
Ma l’ha condizionata anche sull’aspetto fisico?
«Sì, mi obbligava a essere trascurata. Non potevo truccarmi, solo in maniera leggera. Mi diceva come dovevo vestirmi, voleva che mettessi il velo. Quando siamo andati in Marocco mi ha obbligato a indossare la tunica. Sennò, diceva, si vedono troppo le forme. E non potevo sedermi a gambe incrociate: era troppo provocante».
La sua famiglia d’origine all’inizio era contraria al vostro rapporto.
«Infatti tendeva anche ad allontanarmi dalla mia famiglia. Non potevo chiamare i miei genitori, che si erano trasferiti lontano, se non per cinque minuti a settimana. E se tornava a casa e mi vedeva triste erano botte; cinghiate, su un fianco. Mi aveva fatto un livido enorme».
E altre violenze.
«Una sera, senza motivo, per una futile discussione, mi ha rovesciato una teglia ancora calda piena di pollo e patate sulla testa. Per fortuna non sono rimasta ustionata; non era più così calda. Ma il segno lo porto dentro».
Un altro uomo rispetto a quello che aveva conosciuto?
«Un altro. Questo era sempre irascibile. Beveva. Ma il peggio, era la sua dipendenza da videopoker. Non lavorava e mi chiedeva sempre soldi. In una sola sera è stato capace di spendere anche mille euro alle macchinette».
Crede di avere avuto giustizia?
«Lui non aveva precedenti, per cui sono abbastanza soddisfatta. Ma vorrei che ripristinassero il divieto di avvicinamento. Spero davvero che stia lontano. Sono preoccupata. Ma ora almeno l’ho capito… L’amore è un’altra cosa. E devo essere forte, la vita continua».
Un’altra fanatica dell’integrazione ha avuto un assaggio di realtà. Magari, se qualcuno l’avesse avvisata, sarebbe stato apostrofato come ‘rassista’.