Senegal, inchiesta su visti falsi per 6.000 euro Rimosso un funzionario dell’ambasciata italiana

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Scandalo-trafficROMA (11 ottobre) – Le nostre motovedette li avvistano a largo di Lampedusa o di Capo Passero ma i clandestini arrivano anche scendendo le scalette di un aereo. La magistratura di Roma sta indagando infatti su un giro di visti rilasciati a cittadini africani in cambio di cospicue somme di denaro.  Senegalesi, guineani, ma forse anche mauritani, malesi e capoverdiani. Negli ultimi tempi ne sarebbero entrati in questo modo oltre duemila e tra loro anche alcuni bambini. Sul passaporto lo stesso timbro: quello dell’ambasciata italiana di Dakar.

Un alto funzionario della nostra sede diplomatica è già stato rimosso. Secondo i primi riscontri per ogni visto si pagavano dai 5 ai 6 mila euro. Cifra astronomica in Senegal, dove circa il 57% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e lo stipendio medio si aggira sui 200 euro. Per ottenere un visto Schengen le procedure sono rigide. Bisogna dimostrare di avere disponibilità finanziarie adeguate, indicare le finalità del viaggio e le condizioni di alloggio una volta arrivati. E non sono molti gli africani che possono permetterselo.

L’inchiesta è partita dalla V sezione del Tribunale di Dakar (giudice istruttore Leye). A metterla in moto sono state le rivelazioni di un testimone diretto. Un cittadino africano che dopo aver sborsato i quattrini s’era visto bloccare alla frontiera portoghese. Alle dogane dello spazio Schengen è scattato l’allarme. Rafforzati i controlli per chi proviene da Dakar. Altri casi sospetti sono stati segnalati in Francia e a Fiumicino. Risolti tutti allo stesso modo: dietrofront e rientro in Patria.

I visti sarebbero stati “acquistati” da personaggi legati al traffico della droga. La peggio gioventù locale, pesci piccoli e grandi che avrebbero riciclato in questo modo anche denaro sporco. La stampa locale ne ha parlato come di «un fenomeno in piena espansione», senza tuttavia fare nomi né riferimento alla nostra sede diplomatica.

Dakar è la città dove è stato rispedito lo sceicco Abdul Qadir Fadl Allah Mamour, noto alle cronache italiane come l’imam di Carmagnola. Arrivato in Senagal, con alcuni “fratelli” ha fondato il Pis, il Partito islamico senegalese. Ma il Senegal resta un Paese relativamente tranquillo. La stragrande maggioranza della popolazione è musulmana ma non integralista. Tuttavia si teme che i “visti facili” abbiano richiamato l’attenzione del terrorismo internazionale.

E la Farnesina? A quanto si apprende il ministero degli Esteri sin dall’inizio dell’estate è al corrente della situazione che si è creata a Dakar. Dal Ministero è stata avviata, con molta discrezione, data la delicatezza del problema, «un’iniziativa di carattere ispettivo». Il funzionario maggiormente coinvolto è stato allontanato e altri provvedimenti stanno per essere adottati. Anche il nostro ambasciatore a Dakar, Giuseppe Calvetta, in qualità di responsabile della sede diplomatica, dovrà per forza risponderne.
Nell’inchiesta è finita anche una giovane donna guineana legata sentimentalmente all’alto funzionario italiano. Si chiama Marquerite Kaloko. Le tre ville di cui è risultata proprietaria, ubicate nella zona del Casinò, quella “bene” di Dakar, le sono state sequestrate. In casa la polizia senegalese le ha trovato un milione di euro in contanti. In attesa che la giovane donna ne chiarisca la provenienza e si definisca il suo ruolo nella vicenda non potrà lasciare il Paese.

Nei prossimi giorni verranno interrogati due uomini. Avrebbero fatto da intermediari con il funzionario dell’ambasciata italiana incassando per questo una piccola somma. Si conosce anche loro nome, si chiamano Cissè e Malik. Entrambi si sarebbero ribellati chiedendo per il loro incomodo compensi più alti.

Un caso più o meno analogo si è verificato 6 mesi fa nei Balcani dove l’ambasciata italiana di Podgorica è rimasta coinvolta in un traffico di visti Schengen falsi. I visti, circa 800, messi in circolazione da un’agenzia di viaggio, erano destinati agli albanesi del Kosovo. La polizia tedesca e montenegrina è riuscita a scoprire la frode prima che assumesse dimensioni più grandi.

Nella Repubblica presidenziale senegalese il caso dei visti è destinato a fare scalpore, come in genere tutto quello che riguarda gli europei residenti nel Paese. Ma gli italiani sono recidivi. Nella Capitale africana non si è ancora spenta, infatti, l’eco dello scandalo legato alla raccolta dei rifiuti appaltato dall’Ama Senegal, una costola dell’Ama. Il fallimento è ancora sotto gli occhi di tutti. A pochi chilometri da Dakar, in pieno deserto, giacciono inutilizzati compattatori, camion, ruspe e caterpillar targati Roma (e costati svariati milioni di euro ai contribuenti capitolini). Dovevano servire per realizzare una grande discarica. Poi il contratto è saltato, qualcuno che pure aveva un ruolo importante è scappato. E sono spuntati i visti.

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