Matrimoni. “Discriminatorio chiedere il permesso di soggiorno”

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Uno dei passaggi più controversi della legge sulla sicurezza voluta dal passato governosposi12 obbligava gli stranieri che si sposavano in Italia a esibire il permesso di soggiorno, vietando quindi ai clandestini di andare all’altare.

La norma voluta dall’allora ministro dell’interno Roberto Maroni per evitare i matrimoni di comodo, ha messo i bastoni tra le ruote anche a tantissime coppie oneste e innamorate, finche, lo scorso luglio, la Consulta l’ha cancellata perché era incostituzionale. Non si può infatti ledere un diritto fondamentale come quello di formarsi una famiglia in nome della lotta all’immigrazione clandestina.

Da quel momento i promessi sposi, senza più badare al permesso di soggiorno, hanno potuto programmare le nozze in tutta Italia, o quasi. A Chiari, cittadina di ventimila abitanti in provincia di Brescia, il sindaco (e senatore) leghista Sandro Mazzatorta lo scorso settembre ha firmato un’ ordinanza per obbligare gli aspiranti sposi immigrati a mostrare il permesso di soggiorno per procedere alle pubblicazioni. Insomma, ha cercato di far rientrare dalla finestra la norma che la Corte costituzionale aveva appena cacciato dalla porta.

“La Lega Nord ha tenuto duro e ha portato avanti la disobbedienza civile nel rispetto della legge e per la sicurezza di tutti i cittadini. Il nostro auspicio è anche quello di indicare la strada a tutti quegli amministratori che intendono seguire la via del rigore e della giustizia” proclamò allora Mazzatorta. Purtroppo per lui, la strada l’hanno indicata di nuovo i giudici, bocciando (com’era straprevedibile) la sua improbabile iniziativa.

Con una sentenza depositata ieri, il Tribunale di Brescia ha accolto il ricorso collettivo proposto da ASGI e Fondazione Guido Piccini per i diritti dell’Uomo ONLUS, ordinando la revoca o la modifica dell’ordinanza perché è discriminatoria, quindi illegittima. “Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale il giudice non ha potuto che dichiarare l’eclatante natura discriminatoria del provvedimento, che non poteva certo introdurre nell’ordinamento in maniera surrettizia una norma già dichiarata incostituzionale” spiega in una nota l’Asgi.

Il Comune di Chiari è stato anche condannato a pagare quattromila euro di spese legali oltre che ad acquistare uno spazio su Repubblica per la pubblicazione della sentenza. Costa cara, insomma, la sconfitta del battagliero Mazzatorta alle tasche dei suoi concittadini.

La sentenza del Tribunale di Brescia

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